28 settembre 2010

La conta della patate 2

Ho aggiornato la lista delle nostre patate con i testimonial suggeriti dai commenti, anche per tirare qualche somma e relative considerazioni.
Senza un grosso sforzo, senza condurre ricerche ma soltanto in base alla memoria più recente, abbiamo messo insieme una lista di testimonial in attività nel 2010.
Le cifre che ne risultano sono agghiaccianti: 34 aziende per 53 prodotti affidano la loro comunicazione a 80 testimonial.
Considerando che non abbiamo minimamente preso in considerazione il grande serbatoio delle campagne internazionali del settore moda-profumi-occhiali-gioielli-orologi con i suoi divi e le sue dive, che ci siamo di fatto limitati al ben visibile televisivo e che alla fine dell'anno manca ancora un trimestre (peraltro contenente panettoni e affini) i numeri sono sicuramente in difetto. 
Sarebbe bello sapere cosa succede fuori dal paese dei cachi. Qualcuno lo sa?


Belén Rodriguez /Christian De Sica: Tim

Hillary Blasi / Francesco Totti / Luca e Paolo: Vodafone 
Fiorello: Infostrada + Sky
Giorgio Panariello /Vanessa Incontrada: Wind 
Aldo Giovanni & Giacomo: Wind 
Michelle Hunziker /John Travolta: Telecom 187 
Claudio Bisio: 892424 Pagine Gialle 
George Clooney: Nespresso
Dustin Hoffman: Caffè Vergnano            
Sabrina Ferrilli: Poltronesofà 
Alessia Marcuzzi/Geppi Cucciari: Danone Activia 
Ciro Ferrara: Danone Danette
 Raffaella Carrà: Danone Danacol 
Natasha Stefanenko: Danone Vitasnella 
Carlo Conti: Danone Actimel 
Stefania Sandrelli: Danone DanaOs 
Vittoria Cabello: Crodino
Cristina Chiabotto: Acqua Rocchetta 
Alessandro Del Piero: Acqua Uliveto
Paola Cortellesi: Acqua Brio Blu 
Cassano, Pato, Legrottaglie, Cambiasso…etc. : Sky calcio           
Martina Colombari/Billy Costacurta: Roncato                      
Antonella Clerici/Enrico Montesano: Grand Soleil                       
Paolo Bonolis/Luca Laurenti: Lavazza 
Fabio De Luigi: Dixan 
Gialappa's band: Intesa San Paolo 
Benicio Del Toro/Caroline Correa: Magnum Algida 
Uma Thurman: Giulietta Alfa Romeo 
Valentino Rossi/Paolo Cevoli: Fastweb 
Ricky Tognazzi: Ponti 
Veronica Pivetti: Acchiappacolore Grey
Elio e le storie tese: Cynar 
Gerry Scotti: Riso e pasta Scotti 
Federica Pellegrini: Pavesini 
Gerard Depardieu: Cirio 
Fiona May e figlia: Kinder fetta al latte 
Andrew Howe: Kinder Bueno
Alex Schwazer: Kinder Pinguì 
Valentina Vezzali: Kinder Cereali 
Licia Colò: Kinder Cioccolato  
Josefa Indren: Kinder Delice  
Gianluigi Buffon: Kellog's Coco Pops 
Raul Bova e consorte: Alitalia 
La Premiata Ditta: Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture
Carolina Kostner: GrissinBon
Manuela Arcuri/Gabriel Garko/Massimo Ghini: Poste Italiane 
Marco Melandri/Marco Simoncelli: Prink 
Giorgio Chiellini/Marco Materazzi: Mediaworld promozione mondiali 
Silvio Berlusconi: Ministero del Turismo Italiano (solo in voce)
Mina: pasta Barilla (solo in voce)


 

21 settembre 2010

Un pezzo della collezione estate Armando Testa

Anche se tra pochi secondi l'estate sarà ufficialmente finita e tra un paio di giorni ci ritroveremo già a comprare il panettone, vale la pena di fare un salto indietro alle calde serate zanzarose in cui uno spot ci suggeriva con garbo l'acquisto di un condizionatore d'aria Daikin, marca che imparammo a conoscere anni fa grazie a una comunicazione affidata a uomini sudati con la testa di cammello.

Conformemente a uno dei motti più in voga nella pubblicità italiana, cioè quello che recita "Tutto è peggiorabile, basta chiedere", i ruminanti in camicia e cravatta a un certo punto vennero abbandonati nel deserto e sostituiti con un insipido svolazzo di farfalle blu fuoriuscite dal condizionatore (che probabilmente si era riempito di bruchi blu per cause inspiegabili).

Dopodiché, in occasione del lancio del modello "Ururu Sarara" (che non è un tormentone dei Fichi d'india ma vuol dire "umidifica-deumidifica" in giapponese) le farfalle blu furono sfrattate e il condizionatore cominciò a ospitare goccioline d'acqua animate, le cui fattezze made in Japan m'impressionarono da subito. Con tutto il rispetto per il sol levante, raramente ho visto qualcosa di più inespressivo e lezioso al contempo, persino tra le mascotte delle Olimpiadi.

Con i loro teneri musini da soriano imbalsamato, a un tocco di telecomando le simpatiche goccioline planavano dal condizionatore per fare un concertino con i loro strumentini davanti ai proprietari dell'apparecchio stravaccati sul divano, una giovane coppia dalla vita privata così intensa da riuscire ad apprezzare l'evento, cantando con vocine da scoiattolino - Ururu...Sarara... -. Un brano toccante, in grado di snervare in pochi secondi anche i due sul divano, che infatti decidevano di rispedire a casa loro le goccioline con un altro tocco di telecomando.

Ma veniamo a quest'estate, durante la quale la Daikin ha deciso di ingolosirci con il design del suo nuovo modello Emura. E quando si dispone di un format con i controfiocchi, la declinazione in nuovi messaggi è un gioco da ragazzi. Ecco allora le ingegnose goccioline esibirsi in una sfilata di moda, già diventata un cult tra i telespettatori avvezzi al non modico consumo di cannabis, così come successo in passato per i Teletubbies. Cosa c'entri la moda con il design è un problema del tutto marginale, a fronte di uno spettacolo impossibile a descriversi e a vedersi (a meno che non si vada a sbirciare i disegnini nel diario di certe adolescenti) a causa dell'insopportabile tasso di melensaggine contenuto. Non solo: una nuova performance delle vocine da scoiattolo tradisce la perfida volontà di finire lo sfortunato spettatore: i patetici abitini sfilano sulle note di - Emura...Design...Emura...Design... -, per la gioia della padrona di casa e per la nausea del sottoscritto.
Quando lo speaker conclude dicendo - Daikin Emura: un pezzo da collezione - si può soltanto dargli ragione. Non a caso anch'io l'ho messo nella mia.

16 settembre 2010

La conta delle patate

I testimonial in pubblicità sono ormai come le patate in tempo di guerra. Ci si ingozza di quello in mancanza di meglio, sperando in tempi migliori e sognando pasti veri e variati.
Per ora, la fine della miseria d'idee non s'intravvede neanche lontanamente, e le patate, cucinate con più o meno fantasia e sapore, la fanno da padrone. Praticamente non si mangia quasi altro. In tv, può capitare di vedere un intero blocco di spot completamente affidato ai tuberi.

Per curiosità, ho provato a contare quelli in attività: l'elenco è impressionante, anche perché va molto di moda non accontentarsi di un solo testimonial per prodotto. Malgrado ciò, sono sicuro di averne dimenticati non pochi, quindi ogni aiuto per aggiornare la lista è più che ben accetto.

Belén Rodriguez /Christian De Sica: Tim
Hillary Blasi / Francesco Totti / Luca e Paolo: Vodafone
Fiorello: Infostrada + Sky
Giorgio Panariello /Vanessa Incontrada: Wind
Aldo Giovanni & Giacomo: Wind
Michelle Hunziker /John Travolta: Telecom 187
Claudio Bisio: 892424 Pagine Gialle
George Clooney: Nespresso
Dustin Hoffman: Caffè Vergnano           
Sabrina Ferrilli: Poltronesofà
Alessia Marcuzzi: Danone Activia
Ciro Ferrara: Danone Danette
Raffaella Carrà: Danone Danacol
Natasha Stefanenko: Danone Vitasnella
Carlo Conti: Danone Actimel
Stefania Sandrelli: Danone DanaOs
Vittoria Cabello: Crodino
Cristina Chiabotto: Acqua Rocchetta
Alessandro Del Piero: Acqua Uliveto
Paola Cortellesi: Acqua Brio Blu
Cassano, Pato, Legrottaglie, Cambiasso…etc. : Sky calcio          
Martina Colombari/Billy Costacurta: Roncato                     
Antonella Clerici/Enrico Montesano: Grand Soleil                      
Paolo Bonolis/Luca Laurenti: Lavazza
Fiona May e figlia: Kinder fetta al latte
Fabio De Luigi: Dixan
Gialappa's band: Intesa San Paolo
Benicio Del Toro/Caroline Correa: Magnum Algida
Uma Thurman: Giulietta Alfa Romeo
Valentino Rossi/Paolo Cevoli: Fastweb
Ricky Tognazzi: Ponti
Veronica Pivetti: Acchiappacolore Grey
Elio e le storie tese: Cynar

14 settembre 2010

Vittime del rap

Una volta, vedendo un qualunque umano esibirsi in plateali figure di cacca, mi succedeva di provare per il poveretto o la poveretta in oggetto una vergogna quasi insostenibile. Anche se il tutto accadeva lontano da me, dentro il teleschermo. Col passare degli anni, non so se per un inevitabile incremento del tasso di cinismo nel sangue o se per una maturata visione della responsabilità personale, il fenomeno si è ridotto fino a scomparire del tutto.  Almeno così credevo.

La performance di Ricky Tognazzi nello spot della Glassa Ponti mi ha riportato indietro nel tempo: non riesco a guardarla senza provare un penoso malessere e la voglia di essere altrove. Sarà che il buon Ricky mi è sempre stato simpatico, sarà che sia come attori sia come registi c'è in giro di molto peggio, il risultato è che mi piange il cuore a vederlo, seppur consenziente, precipitare di spot in spot lungo la china di un format inarrestabile nella sua discesa verso l'orrore profondo. Dalla maldestra citazione di una scena di Lost in translation degli esordi siamo infatti arrivati a una delle prove tradizionalmente più infelici nella storia della pubblicità italiana: il rap. Non si capisce perché, ma la tentazione di risolvere tutto con un rap di prodotto continua a mietere vittime da un paio di decenni.
Misteriosamente, c'è sempre qualcuno che ci cade puntualmente, e va ad aggiungere il suo rap alla nutrita compilation di quelli che l'hanno preceduto con i medesimi, atroci risultati. Un solo esempio per tutti: l'anziana che si dimenava nell'indimenticabile spot Fiat Uno Rap dei primi anni novanta. E lì c'era almeno una giustificazione, poiché Rap era l'infelice nome del modello.

In questo caso c'è caduta in pieno l'Armando Testa, la matrona delle agenzie italiane.
Ed è toccato al cinquantacinquenne Ricky Tognazzi, travestito come l'animatore più scrauso del più scalcagnato dei villaggi vacanze, dare vita a trenta secondi di purissimo imbarazzo per chiunque abbia un minimo di familiarità con il senso del ridicolo.
Mi chiedo cosa ne penserebbe papà Ugo. Ma anche papà Armando.

10 settembre 2010

Danone No Limits

Quand'ero giovane, cioè un'esagerazione fa, la pregiatissima Young & Rubicam era una delle prime quattro o cinque agenzie in cui uno avrebbe voluto conquistarsi una scrivania.
Non a caso, quando rifiutai come primo lavoro un posticino da apprendista copy (con tanto di rimborso spese di ben centomila lire mensili) alla Cato Johnson, che era un po' la sua portineria, per andare in campagna ad allevare cavalli, non pochi mi diedero serenamente del pirla.

Anche per questo mi sono convinto che la Young&Rubicam abbia da tempo cambiato gestione senza mettere il cartello, come succede in certe pizzerie che ti piacciono in cui improvvisamente tutto cambia in peggio, dalle facce dei camerieri a quella della quattro formaggi. Ti senti tradito, guardi la nuova insegna Piedigrotta  e scopri che hanno peggiorato pure quella e decidi di non andarci più.

Sono sicuro che ai tempi dei pizzaioli di una volta nessuno si sarebbe sognato di portare in tavola una fetenzia come il Concorsone Danone.
Invece quelli di oggi, dopo averci straziato lungo tutta la gamma di prodotti in vasetto o flaconcino della rinomata yogourteria francese con i gonfiori di panza della Marcuzzi, gli esilaranti siparietti della famiglia Ciroferrara, le difese naturali di Carlo Conti (purtroppo non -da- Carlo Conti), le acque della Stefanenko e, cosa ben più grave, dopo aver ridotto un mito dei maschi italiani quale Stefania Sandrelli alla grottesca immagine di una goffa signora pettinata come Chewbacca che si chiede se avrà assunto abbastanza calcio, oggi ci servono sul piatto un bel "we are the world" della testimonieria, per l'occasione capeggiato dall'immarcescibile Carrà, capace di riconciliarci, per finezza e originalità, con il palinsesto delle tv locali albanesi.
Troppo anche per Little Tony che, avrete notato, non fa più parte della sciagurata compagnia. C'è un limite a tutto, persino alla monnezza, persino quando la chiami trash per coprirne il tanfo.


 

7 settembre 2010

Ritorno al mono origine



Una volta, nel mercato del caffè italiano, c'erano solo le miscele. Un po' di questo, po' di quello e un po' di quell'altro, per trovare il cosiddetto gusto equilibrato che piace un po' a tutti . Da qualche anno, sono comparsi i caffè mono origine, altresì detti puri, composti al cento per cento da un solo tipo di specie, per il cento per cento di quel gusto. Roba da palati raffinati.

Non so se l'accoppiata d'eccellenza Tim - Leo Burnett abbia tratto ispirazione dalle tendenze del mercato del caffè, fatto sta che ha deciso di sorprenderci con un ritorno in grande stile della pubblicità mono origine, quella che ha fatto la storia dei calendari dei gommisti, quella composta al cento per cento da pura sgnacchera, senza altri ingredienti aggiunti.

La forza dell'idea creativa sta infatti nell'aver voluto rinunciare completamente, senza ipocrisie di sorta, senza le pastoie di un'idea, si direbbe con orgoglio, a tutto quanto non trovi un'immediata eco nei corpi cavernosi del target, con buona pace dei genitori del Moige.

 

Questo straordinario esempio di cinema pubblicitario trova nella famosa isolana Belén Rodriguez un'interprete semplicemente perfetta, capace di calarsi così a fondo nel difficilissimo ruolo dell'escort bisognosa d'affetto da creare nello spettatore l'illusione di trovarsi realmente davanti a un'escort bisognosa d'affetto. Nulla, nei suoi trenta secondi d'intensa recitazione, viene lasciato al caso: dal sinuoso sollevarsi dal lettino all'incedere felino con lo slip rimboccato tra le chiappe, dalla languida rinfrescata a bordo piscina alla drammatica immersione suicida, tutto concorre alla costruzione di una tensione erotica di rara grandezza, possibile solo quando alle spalle c'è davvero il mestiere.

Sarebbe però ingiusto trascurare i meriti della colonna sonora, che contribuisce non poco alla perfezione di questo piccolo (ma sia chiaro, soltanto in termini di durata) capolavoro.
La raffinatezza della melodia accompagna lo scorrere delle straordinarie immagini con squisito garbo, ma sono forse le parole, con la loro profondità, a toccarci di dentro:

"Rah, rah, ah ah ah,
Roma, roma, ma,
Gaga, ooh la la!"

Roba da palati raffinati, come s'è detto.

3 settembre 2010

Aiaiài

Copy: allora...due ragazzi e una ragazza entrano in una casa, ma appena aprono la porta rimangono a bocca aperta, perché nella casa c'è una festa di gente tutta ingessata

Direttorecreativo: in che senso?

Copy: ...nel senso di proprio ingessata: qualcuno una gamba, qualcuno un braccio...tutti ingessati di brutto

Art: c'è pure il cane col collare, ahahaha!

Direttorecreativo: hm. ma cosa fanno?

Copy: una festa sfigata...con una musica sfigata

Art: c'è pure uno che ballando col braccio ingessato dà un cazzotto a un altra, ahahahahaha!

Direttorecreativo: hm. e poi?

Copy: a un certo punto appare in super  e speaker "Stanchi delle feste ingessate?"

Direttorecreativo: ah

Copy: ...e vediamo i tre scappare via

Direttorecreativo: hm

Copy: ...stacco sui würstel sulla griglia, parte la musica wudy e ci ritroviamo coi tre in una festa vera, con ragazzi vivi, dove tutti ballano, mangiano i würstel e si divertono. Lo speaker dice una cosa tipo "Gusta la vita con leggerezza: fai festa con Wudy".

Art: ...e chiudiamo col pack e il marchio.

Copy e Art: ...?

Direttorecreativo: hmpf. didascalico, banale, e poi non mi fa ridere. Altre idee?


Sul mio pianeta, le cose sarebbero andate grossomodo così, e lo spot Wudy Aia che ci ha allietati durante l'estate sarebbe rimasto a far la muffa negli hard disk dei due brillanti creativi, fino alla prima pulizia della cartella documenti. Ma il mio non è il pianeta DDB.  Come diceva Totò, "Il mondo è bello perché è avariato".



1 settembre 2010

Proprio un almore di campagna

Per curiosa coincidenza, mi trovo a inaugurare questo porkfolio proprio con un lavoro di chi ha fatto una missione del lanciare strali contro la banalità della pubblicità italiana. Quella fatta da altri, s'intende. Avrete capito che sto parlando di Oliviero Toscani, il grande fotografo che, dopo aver avuto il culo di fotografare un culo evangelico in shorts negli anni settanta del secolo scorso, ha immediatamente capito che la provocazione paga più di una bella fotografia.

Da allora, il maestro dell'obiettivo non ha mai perso occasione di spiegarci con la sua raffinata dialettica come, perché e quanto schifo facciano i lavori di noi pubblicitari di scuola tradizionale, talvolta addirittura ancora legati a concetti anacronistici quali la ridicola "promessa". Nel corso degli anni, il genio del limbo bianco ha ampiamente dimostrato che paga anche sparare sulla croce rossa, soprattutto se la croce rossa in questione è così rincoglionita da farsi sparare addosso persino dai fotografi.

Per quel che mi riguarda, una volta imparato dal virtuoso del click quale pubblicità non devo fare (scoprendo con sorpresa che si trattava dello stessa che mi hanno insegnato a non praticare), mi sono sempre aspettato di venire illuminato da qualche buon esempio della pubblicità che invece dovrei fare. Soprattutto nel malaugurato caso in cui non si possa disporre di un'immagine sufficientemente scioccante da associare, che so, a un biscotto per la prima colazione. Oppure quando, disgraziatamente, il piano mezzi è talmente misero da non potersi nemmeno permettere di tappezzare la città con i 6x3. Perché quando la provocazione ha in mano solo una manciata di paginette il gioco si complica un tantino. Sfortunatamente, l'illuminazione non mi si è ancora palesata e io sto ancora aspettando.

Ma veniamo al dunque. Quando, un paio di mesi fa, uscendo come ogni mattina dalla putrida stazione del passante ferroviario, il mio sguardo andò a finire su un 6x3 raffigurante un gruppetto di mezzibusti nudi ambosessi e di varia pelle con i volti coperti da maschere da cane e gatto e una scritta recitante "amore..." (sì, proprio coi puntini), la mia reazione superò di poco la soglia della più totale indifferenza.
Al brutto ci sono abituato, al nudo anche, al non capire che cosa mi si voglia vendere ci ho fatto ormai il callo, fatto sta che assegnai distrattamente l'opera al vasto e per me quasi sempre indecifrabile cosmo dell'abbigliamento, magari intimo. 



Il giorno seguente, al secondo passaggio, mi resi conto di quanto fossero brutte le maschere, tristi le carni e l'insieme, ma soprattutto mi accorsi della presenza di una lettera elle sulla parola "amore...", come fosse aggiunta di getto a mano. Quindi leggasi "l'amore..." grazie a divertente grafica. 

La terza mattina, colto da uno dei miei sempre più rari raptus di curiosità professionale, decido di avvicinarmi a sufficienza per poter leggere bene il marchio e soprattutto le microscritte intorno ad esso. Eccomi lì, col naso per aria e gli occhi strizzati, come un bambino che guarda gli aerei, o meglio, come un coglione astigmatico che cerca di leggere a qualche metro sopra la sua testa, incurante degli sguardi degli operai lì intorno, probabilmente convinti che io sia lì per adorare le due paia di tette, per tristi che siano.
Infine, leggo, dall'alto in basso: Alimenti per cani e gatti - Almo Nature - Dal loro punto di vista. E qui sì che l'illuminazione viene a rischiarare di colpo le mie fosche capacità intellettive, e in un attimo solo comprendo qual è il prodotto e la genialità del copy.
Almo Nature, da cui l'Almore del titolo, ecco come andava letta la elle sbarazzina! Almore... un simpatico giochino di quelli che se ci provavi da junior ti garantivi prese per il culo per il resto dei tuoi giorni, più venti nerbate per l'uso dei puntini di sospensione.
Ma che importa il copy, in fondo il pezzo forte della campagna è il visual, questa magnifica immagine capace di trasmettere gioia, solarità, simpatia come poche altre, soprattutto nel ramo degli scambisti mascherati in piena depressione.

Ancora un po' scosso dall'esperienza, una volta seduto alla scrivania decido di dar fondo alla mia curiosità e chiedo informazioni al web. Scopro così che la campagna Almo Nature non è una campagna e basta, bensì una campagna di Oliviero Toscani, che ancora una volta è riuscito a lanciare una provocazione delle sue, suscitando indignazione tra le composite fila dello schieramento braghettone  italiano, il suo vero target da sempre che abbocca sempre. Sul web è già polemica, è già botta e risposta, è già parlarne purché se ne parli, e, porcaccia la miseria, ne sto parlando anch'io. Quindi basta.

Benvenuto in porkfolio, Maestro Toscani.